TRAMA

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Meredith Grey
view post Posted on 2/11/2013, 16:22






« Tutti ricordiamo le favole della buonanotte della nostra infanzia: Cenerentola che calza la scarpetta, il ranocchio che si trasforma in principe, la bella addormentata che si risveglia con un bacio. "C'era una volta". "E vissero per sempre felici e contenti". Favole, la sostanza dei sogni. Il problema è che le favole non diventano realtà. Sono le altre storie, quelle che iniziano con "Era una notte buia e tempestosa..." e finiscono in modo terribile. Sono gli incubi che sembrano sempre diventare realtà. Il primo che ha scritto "E vissero per sempre felice e contenti..." dovrebbe essere preso a calci nel sedere. »

Ed era proprio così.
Quello che era successo in quei giorni al Seattle Grace Hospital aveva portato scompiglio nelle persone, nei rapporti personali e di lavoro.
Erano tutti sconvolti, e il pensiero li portava a riflettere su quello che era stato l’inizio di tutto. L’inizio della storia.
Ma allo stesso tempo anche la sua fine.
“Addio George”.

MEREDITH:
*”Nel gioco si dice che una persona ha la stoffa per entrare in partita oppure no.
Mia madre era una dei campioni... mentre io, io sono fottuta!”.
Ecco che cosa pensai la prima volta che entrai nel Seattle Grace Hospital: nella sala centrale dell’ospedale c’erano una marea di nuovi arrivati tutti pronti per fare il “giro turistico” della struttura. Eravamo tutti agitati, chi più e chi meno.
Accanto a me si trovavano una spilungona con i capelli biondi e un ragazzo riccioluto con gli occhi da Bambi; non avrei mai immaginato che con loro, Izzie e George, avrei fatto molta strada e che sarebbero diventati ben presto i miei coinquilini.
Nessuno di loro sapeva chi ero esattamente, l'unica figlia della dottoressa Ellis Grey la leggenda della chirurgia e inventrice di numerose tecniche chirurgiche d’avanguardia, ma quello di cui ero certa era che una volta che la voce si sarebbe sparsa tutti avrebbero preteso molto da me.
[…]
Ed eccola lì, per la prima volta nella sala operatoria.
Un brivido le percorse tutta la schiena e al solo pensiero che un giorno lei sarebbe stata il primo chirurgo in un intervento, le diede quella forza per ritirarsi su dalla sua condizione di tristezza assoluta.
Il Primario di Chirurgia, Webber, ex amante di sua madre, stava intrattenendo tutti i neo-specializzandi con un discorso avvincente: “Un mese fa, alla Facoltà di Medicina, i medici erano i vostri professori, oggi i medici siete voi. I sette anni da specializzandi in chirurgia saranno i più belli e i più brutti della vostra vita…” *
- I migliori..
*sussurrò sorridendo e guardandosi intorno.*
“Guardatevi intorno, salutate la concorrenza.
*disse Weber osservando tutti gli specializzandi davanti a lui*
Otto di voi passeranno a una specializzazione più facile, cinque di voi non reggeranno la pressione e a due di voi verrà chiesto di andarsene. Questo è il punto di partenza, la vostra arena, la vostra partita... dipende da voi.” *
- Dipende da noi..
*ripetè senza un minimo di incertezza.
Ecco che cosa aveva provato la prima volta entrata nel Seattle Grace: gioia. Aveva provato una sensazione irripetibile, un brivido che – era sicura- non avrebbe provato di nuovo.

Il giro dell’ospedale era continuato nel frattempo, i vari specializzandi venivano separati nei gruppi di lavoro 4 a 4. Quella era la concorrenza di cui pochi minuti prima aveva parlato il capo di chirurgia.*
“Grey, O'Malley, Yang e Stevens… *urlò una burbera voce femminile* “Voi siete con me! “* mi guardai intorno un momento e i miei avversari erano il ragazzo riccioluto che avevo visto nella sala precedente, la ragazza alta due metri bellissima, e una ragazza cinese/coreana/giapponese che non aveva caratteristiche particolari.
“Benvenuta al Seattle Grace Meredith, qui inizia la tua vita”.
[…]
Quello era il primo ricordo del Seattle Grace. Non mi sarei mai permessa di dimenticarlo -perché d’altra parte avevo ragione - trasferirmi a Seattle e iniziare a lavorare lì aveva segnato delle parti importanti della mia vita, anche se era solo da due anni che facevo il mio praticantato; lì aveva conosciuto persone che poi se n’erano andate per sempre *disse pensando a George e a quello che gli era successo qualche giorno prima* lì si era innamorata * pensò volgendo il suo sguardo a Derek* lì era dove aveva imparato ad essere un buon medico e a prendersi la responsabilità della vita di qualcun altro.* sospirò pensando a tutte le persone a cui aveva salvato la vita fino a quel momento.
Tuttavia il dramma di quei giorni aveva devastato tutti quanti, così tanto, da far vacillare ogni rapporto. Il loro George non esisteva più, non c’era più il suo migliore amico. Il magico trio era svanito.
“ Dicono che la morte sia più dura per chi sopravvive. È difficile dire addio, a volte è impossibile. In realtà non smetti mai di sentire la perdita. È questo che rende tutto agrodolce. Lasciamo dei pezzetti di noi alle nostre spalle, piccoli ricordi. Una vita di ricordi, fotografie, gingilli. Cose per cui saremo ricordati, anche quando non ci saremo più”*
-Addio George * appoggiò la mano sul cuore e socchiuse gli occhi avvicinandosi pian piano a Derek*


DEREK:
*Sono sempre stato una persona che razionalizza ogni minima cosa anche la più semplice e stupida, portando la mia vita in uno stato di tranquillità apparente che mi rendeva un uomo felice, sereno ed appagato;Cresciuto da una famiglia modesta ma che al momento conta quasi tutti i suoi componenti come medici tra psicologi e dottori specializzati in vari rami della medicina, ormai ero anche un uomo sposato con la classica donna perfetta conosciuta all'Università di medicina bella intelligente e simpatica non potevo desiderare di meglio.
Certo se non trovarla con il mio migliore amico rotolati tra le lenzuola che si scambiano qualche gesto un pò più di affettuoso,
è una sensazione orribile vedere la donna che credevi di amare con un altro uomo in effusioni intime, e anche per uno calmo pacato e tranquillo è difficile mantenere la calma in quelle situazioni ma stranamente non feci niente al momento.
Come se la cosa non mi riguardasse o semplicemente come quando un uomo apre distrattamente una stanza d'albergo che non è la sua e la richiude scusandosi,
tornai giù a bere qualcosa in un bar immergendo i miei pensieri in qualche bicchiere di wisky, esaminando già l'idea di andarmene da li.
[..]
Il destino è lui il padrone della nostra vita,
cosi come quella volta anche nel momento in cui mi fece conoscere Meredith, gli occhi da cerbiatta che mi hanno incantato, colei che ha passato la notte con me facendo l'amore, desiderandoci sin dal primo attimo in cui i nostri sguardi si erano incontrati e poi rivederla al Seattle Hospital è stata una vera sorpresa.
Come lo era stata anche la chiamata allora di Webber un mio vecchio amico che mi aveva proposto un lavoro come capo di neurochirurgia nell'ospedale che ora lui stesso dirigeva e non potevo aspettarmi di meglio finalmente lontano da Addison e i problemi che ne derivavano dal momento che mi bastava vederla per un attimo per farmi tornare la scena del suo fottuto tradimento.
Abitavo ora in una roulotte non so per quale motivo dal momento che lo stipendio che prendevo mi poteva permettere ben altri alloggi ma non davo molta importanza alle cose materiali al momento visto che anche se a New York non mi mancava apparentemente nulla in pochi attimi mi era caduto il mondo addosso.
Ma ora posso dire di sentirmi davvero gratificato sono il miglior neurochirurgo dell'ospedale se non di Seattle avendo a mio carico un sacco di interventi difficilissimi andati a buon fine.
Tranne quel maledetto intervento a Preston dopo la sparatoria in cui è stato coinvolto con la successiva conseguenza del tremore alla mano solo per un mio dannato sbaglio e anche se so che con il cervello è facile sbagliare da quel momento sono diventato ancora più autocritico cercando di migliorarmi ancora.
[..]
Ed ora con lo sguardo basso e le mani conserte e il mio classico camice
prego per la prematura morte di un amico collega, una persona stupenda come O'Malley, colui che è morto per salvare una ragazza che stava per essere investita rimanendo lui coinvolto nell'incidente; E pensare che tanto che era grave non eravamo riusciti a capire che fosse lui, completamente fasciato come era, ma saperlo e vedere ora il suo corpo inerme mi rende davvero inutile, triste.
Guardo al mio fianco cercando lo sguardo di Meredith, noto la sua tristezza nello sguardo so quanto bene volesse al suo amico confidente, coinquilino è un dolore per tutti perderlo ma sopratutto per lei, Izzie e Callie, so solo che starò vicino a tutti loro, e sopratutto non cercherò di razionalizzare tutto lasciandomi andare di più, sarebbe potuta toccare a me domani e volevo godermi la vita fino all'ultimo istante con la donna che amo e che presto, sarà mia moglie e la madre dei miei figli, cosi ha deciso dio per noi, cosi sarà...*


CRISTINA:
*Ero arrivata a Seattle qualche giorno prima della festa di inaugurazione del nostro programma, per cercare un appartamento e sistemare le ultime pratiche prima di cominciare quel nuovo importantissimo capitolo della mia vita. Ero a di poco estasiata di aver abbandonato l'opprimente nido familiare, di essermi lasciata alle spalle quella famiglia disfunzionale e bigotta così ben inserita nel tessuto sociale della Beverly Hills altolocata. Soltanto il vento e la pioggia mi accolsero nella grigia Seattle.
La mattina del primo giorno mi svegliai con largo anticipo per combattere l'angosciante paura di arrivare in ritardo. Saltai in sella alla mia moto e mi diressi in ospedale con il vento gelido che mi tagliava il volto.
Mi bloccai sul viale che dal parcheggio portava all'ingresso principale dell'ospedale; mi presi qualche minuto per studiare la facciata anteriore, le trasparenti porte automatiche e il trambusto dei corridoi che risuonava fin dall'esterno. Presi un profondo respiro e mi portai all'interno. L'atrio non era particolarmente affollato e riuscii chiaramente a distinguere qualche volto che avevo visto anche la sera prima al ricevimento. Poco più in la, un folto gruppo di ragazzi, che dovevano essere, proprio come me, delle matricole, si era affollato intorno a una ristretta cerchia di medici, probabilmente specializzandi più anziani, i nostri "guardiani".*

Grey, O'Malley, Yang e Stevens… *urlò una burbera voce femminile* Voi siete con me!
*Mi guardai intorno per vedere i miei compagni di viaggio: una ragazzino dagli occhi grandi e pieni di terrore, una bionda spilungona e un'altra gracilina, un eterogeneo gruppo capeggiato da quella che, si vociferava, fosse lo specializzando in chirurgia generale più promettente dell'ospedale, la dottoressa Bailey, la nazista; nessuno di loro appariva particolarmente sveglio o all'altezza della fama della nostra insegnante. "Li schiaccerò come delle noccioline" pensai gongolante.
Qualche ora più tardi, verso la fine di un turno modestamente noioso, il capo di chirurgia scortò tutte le matricole nella sala operatoria principale per il suo discorso di benvenuto. Non ascoltai una sola parola di quello che disse, la mia attenzione era tutta rivolta alla sala operatoria, anche al minimo dettaglio. Mai mi permetterò di dimenticare il mio primo ingresso in sala: il pungente odore di anestetico e disinfettante, le luci ovattate e quasi soffuse, la mistica atmosfera che aleggiava in quella sala, pareva quasi di essere entrati in un santuario, ed in effetti, era proprio così.
[…]
Questo era il mio primo ricordo al Seattle Grace. Con lucida chiarezza ritornavo a quei primi momenti in cui pensavo che non avrei mai voluto avere a che fare con i miei colleghi, che non avrei mai avuto niente da spartire con quei ragazzini spaventati e nervosi; non avrei permesso mai a niente e a nessuno di mettersi tra me e la mia ambizione. Con il senno di poi non immaginavo che avrei potuto trovare una casa e una famiglia dentro quell'ospedale o che, a distanza di nemmeno due anni, non avrei saputo immaginarmi in nessun altro posto nel mondo se non al Seattle Grace.
In quei due anni molte, troppe, cose erano successe, alcune valevano la pena di essere raccontate, altre di essere solo gettate vie e dimenticate. Lungo la nostra strada, alcuni avvenimenti significavano poco più di un misero sassolino poggiato a caso lungo il ciglio, altri invece, erano pesanti e insormontabili come un enorme masso; ma ciò che era accaduto in quei giorni, era una montagna troppo alta per poter essere scalata..*


LEXIE:
*Ricordavo ancora il primo giorno di tirocinio qui in questo ospedale era stato tremendo e bello allo stesso tempo, quasi indescrivibile.
Sapevo che qui dentro c'era d'affrontare una grossa sfida per me ,non solo professionalmente ma anche emotivamente, per me quella era una vera e propria arena, dove io non volevo essere sconfitta miseramente.
Ricordavo il primo giorno , i miei compagni specializzandi non erano niente male, ma io avevo solo un pensiero nella testa Meredith Grey.
Era stato uno shock dopo essermi diplomata scoprire che avevo una sorellastra, che oltretutto si stava specializzando proprio dove io avrei iniziato la mia specializzazione era stato un duro colpo per me, ma dopo una lunga riflessione, avevo capito bene che c'è l'avrei potuta fare nonostante tutto, sarei potuta essere forte.
Mi era ancora impressa nella mia mente, l'immagine di quella mattina al pronto soccorso, era la prima volta che la vedevo, ed ero dannatamente nervosa che non sapevo bene cosa dire e alla fine senza troppi giri di parole le dissi
"Sono Lexie. Lexie Grey , tua sorella".
Lei non la prese bene inizialmente, ma come biasimarla, lei mi odiava, mio padre, anzi nostro padre mi aveva avvertito che era difficile di carattere e che non subito avrebbe accettato la mia presenza dato che lui l'aveva abbandonata.
Ma anche se, secondo mio padre, quella era una missione suicida e impossibile, Meredith restava sempre mia sorella, e io volevo avere qualche rapporto con lei , anche se lei non desiderava la stessa cosa.
La cosa non si semplificò , quando in ospedale incontrai Derek Shepherd, il ragazzo che avevo incontrato la sera prima della specializzazione in un bar.
All'inizio non capì, ma andando avanti col tempo, mi era stato chiarito che Meredith e Derek avessero una storia e che io ero d'intralcio, un'altro punto a sfavore per me, con mia sorella.
Un altro ricordo fu Alex, direi che fu la mia storia più brutta ma non si può definire una storia vera e propria di due persone che fanno solo ed esclusivamente sesso, ma la verità era che io mi stavo affezionando a lui , ma non avevo tenuto conto del fatto che lui fosse così superficiale.
Per fortuna non tutto fu così brutto, oltre a Meredith e Alez avevo conosciuto persone fantastica, e anche se Cristina era geniale, come amica non lo era altrettanto.
Per fortuna trovai George, per me lui fu il mio aiuto caduto dal cielo, fin dall'inizio fu fantastico con me, mi aiutò ad ambientarmi e io potevo parlare con lui , potevo confidarmi.
Passammo molto tempo insieme, anche fin troppo, e ricordavo ancora quando io mi innamorai di lui, successe all'improvviso, mentre lo aiutavo a prepararsi al test, io persi la testa per quell'uomo così dolce e gentile, pieno di valori , che non avrebbe fatto male a nessuno , purtroppo io non ero ricambiata.
Oggi invece potevo dire che i rapporti con mia sorella stavano andando meglio, il mio cuore era libero, e mi stavo facendo nuove amicizie.
Chi guarderebbe da fuori potrebbe dire che stessi vivendo la mia vita al meglio, ma mi sono scordata di un piccolo particolare: sono al funerale di George.
George è morto per poter salvare una donna che stava per essere investita da un autobus, invece è andato lui sotto a un autobus, e adesso non c'era più.
Non riuscivo a descrivere il dolore, ma posso dire solo che faceva davvero male, era come se stesse uscendo dal petto e io non riuscissi a fermarlo.
Avevo perso per sempre l'unica persona che mi aveva trattato bene fin dall'inizio la più buona, la più perfetta, ma il destino è crudele, e lo era stato con lui.* Addio George. Mi mancherai.*dissi mentre guardavo la sua bara che stavano sotterrando, mi girai e che con le lacrime agli occhi me ne andai, con un vuoto che mi accompagnava*


CALLIOPE:
*Stare seduta in quella sala d'aspetto con gli occhi gonfi, il suo sangue sulle mani, sul camice, addosso a me era struggente. Ero in piedi da 53 ore, minuto più minuto meno: avevo fatto lo straordinario perchè ormai l'ortopedia era l'unica cosa rimastami, ma quelle due ore seduta fuori da quella sala operatoria sembravano interminabili. Avevo assistito a tutta l'incidente, come se fossi la spettatrice di un film, ma quello non era un film e avevo perso una delle persone più importanti della mia vita. Appoggia la schiena contro lo schienale freddo della sedia, non avevo mai odiato quel posto così tanto come in quel momento. Presi un respiro e socchiusi gli occhi, forse per cercare di rilassarmi, per allontanare da me quell'angoscia che mi lacerava in quel momento, ma era stata una mossa sbagliata.
[…]
Iniziarono a scorrere davanti ai miei occhi, come scene di un film a rallentatore pezzi della mia vita: ,la Florida, la scuola, le prese in giro dei compagni, il mio bellissimo banco in fondo all'aula, il college, mio padre, la laurea di medicina, la specializzazione, Seattle e George. Quelle immagini comparivano nitide ancora nella mia mente: tutto come un puzzle che sta riassemblando i pezzi. E poi mancava quel tassello mancante, quello che era al centro del puzzle e che forse ora stavo per perdere. Arrivata a Seattle ero stata considerata la classica ragazza del sud, tutti mi schivavano forse per via dei miei modi un po' rozzi, un po' da maschiaccio, ma lui con quegli occhi a cerbiatto mi aveva messo i riflettori addosso, mi faceva sentire bene, bella e Dio, anche amata! Forse agli occhi degli altri era successo tutto troppo velocemente, forse eravamo stati dei folli e incoscienti per prendere la macchina e andare dritti a Las Vegas per sposarci, vivere insieme, progettare qualcosa insieme. Era stato così magico, innocente, era stato il momento in cui avevo ricominciato a sorridere e per una volta facevo quello che volevo, non quello che mi imponeva la società o peggio mio padre, ma soprattutto per la prima volta ero felice! Forse era stato un amore così puro che era destinato a finire, ad andare a rotoli: sicuramente era il karma che complottava contro di me e mi aveva mandato in frantumi l'unica cosa a cui tenevo oltre il mio lavoro.
Però c'ero passata oltre, al tradimento, lo avevo perdonato, avevamo cercato di riprendere i rapporti, in fondo eravamo stati l'uno fondamentale nella vita dell'alta e ora che lo stavo per perdere mi sentivo morire.
Riaprii gli occhi ormai incapaci di contenere le lacrime, che iniziarono a rigarmi il volto. Piansi a lungo per rabbia, per dolore, perchè la morta lo aveva appena strappato dalla sua vita, perchè con lui se n'era andata una parte di me. Mi alzai appena vidi le porte aprirsi e cercai di asciugarmi come meglio potevo le lacrime, alla fine scoppiai nuovamente in lacrime: era stato inutile, le lesioni erano troppo profonde, avevano fatto tutto il possibile. Corsi dentro la sala operatoria, ormai vuota con solo dentro lui, irriconoscibile e tumefatto dalle ustioni, e dopo aver avvicinato uno sgabello al lettino e preso tra le mie mani una sua mano, ormai fredda, continuai a piangere per la sua vita. Era morto come eroe, ma per me lo era sempre stato: mi aveva salvata.*
 
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